Nel 1300 il padovano conte Sambonifacio diede in sposa ad un Buzzacarini una sua figlia con la dote di mille ducati d'oro. Nel giorno della promessa matrimoniale i genitori della fidanzata davano un gran pranzo in onore del futuro sposo e dei suoi parenti, i quali a lor volta contraccambiavano con un lauto banchetto il giorno delle nozze. Pare che i nostri antenati fossero mangiatori eccellenti perché il Tomitano medico filosofo e poeta che lasciò scritte numerose memorie dei suoi tempi. scrisse in tono di rimprovero: «Oggi non s'invitano a banchetto parenti od amici se non si portano in tavola uno stuolo numeroso di vivande» E nomina animali selvatici. galline, colombi, uccelli, minestre, pasticci, torte, sfogliate, salumi. frutta, confetti. ecc. tutto in un solo pranzo, senza contare le varie qualità di vini. E continua l'illustre medico poeta rimproverando ai suoi contemporanei le spese inutili che facevano per questi pranzi e cene d'invito e nei banchetti di nozze. Dopo il banchetto nuziale i nostri avi ballavano, e tra le danze primeggiava la cosi detta «pavana» oggi completamente dimenticata: L'illustre canonico Scardeone scriveva nel 1500 come una volta i balli avessero forme assai convenienti e civili ed il movimento in essi era modesto e pieno di pudore perché gli uomini e le donne ballando non si prendevano per mano, ma con un nastro tenuto da loro danzavano accompagnati dalla musica, mentre ai tempi suoi era assai cambiata l'antica maniera di ballare con tanto dimenamento del capo, delle braccia, dei piedi e dei fianchi che fanno pensare a tutt'altro che al modesto ballo. Queste cose le dicono pure i nostri vecchi del secolo ventesimo, pensando agli antichi valtzer, mazurche e poIche, proprio come l'ottimo e dotto canonico del 1500, quindi si deduce che il mondo è sempre uguale. e l'abitudine di magnificare i tempi passati non è cessata.
|
|||